Laboratorio Universitario di Pedagogia dell'Antimafia "Giuseppe Di Vittorio"
Che idea essere uccisi di marzo.
E far parte di una storia collettiva che il potere continua a cancellare.
Che idea essere uccisi di marzo.
E lasciare correre via i sogni. Strapparli dal petto e non poterli riacciuffare.
Che idea essere uccisi di marzo.
E aver solo un passato da raccontare e un quotidiano negato da costruire.
Che idea essere uccisi di marzo.
E lasciare un vuoto nei compagni che hanno deciso di non dimenticare.
Che idea essere uccisi di marzo.
E rimanere Fausto e Iaio, due compagni del Casoretto.
Fausto e Iaio sono due studenti milanesi, uccisi quarant’anni fa in via Mancinelli la sera del 18 marzo 1978. Il loro omicidio rimasto impunito. Nessun colpevole verrà mai volutamente trovato.
La loro vicenda, come altre a questa collegate (Mauro Brutto a Milano ucciso il 25 novembre 1978 e Valerio Verbano ucciso a Roma il 22 febbraio 1980) fanno ancora male. Sono rimaste delle ferite aperte che non si rimargineranno mai.
Così il giornalista Daniele Biacchessi, autore tra l’altro del film “Il sogno di Fausto e Iaio” e del volume “Fausto e Iaio. La speranza muore a 18 anni”, ci descrive i due giovani:
«Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Iaio sono due ragazzi che vestono come una volta: jeans scampanati, camicione a quadretti, giubboni con le frange, capelli lunghi. Di sabato, intorno alle 20, percorrono via Mancinelli, la strada che divide in due il quartiere Casoretto.Trecento metri senza luce, un luogo poco frequentato, buio. Trecento metri che mettono paura.Il 18 marzo 1978, all'altezza del portone dell'Anderson School, i loro passi d'improvviso si fermano. Fausto e Iaio avvertono il pericolo, si voltano per chiedere aiuto ma intorno a loro c'è il vuoto e la solitudine di Milano. Così due persone si avvicinano con fare sbrigativo. Li bloccano. Ora i quattro si trovano faccia a faccia. Si fa avanti uno con l'impermeabile bianco e il bavero alzato. «Siete del Centro Sociale Leoncavallo?». Il senso della loro speranza si spegne sotto i colpi di otto proiettili Winchester calibro 7,65, sparati da un professionista. (...) Fausto e Iaio cercano prove e indizi sul traffico di droga gestito da ambienti della destra eversiva con la criminalità organizzata. (...) Avevano incrociato una zona grigia che si muove tra eversione di destra, bande criminali, massoneria, servizi segreti».
Sul finire degli anni Settanta, inizia a farsi strada tra i giovani l’uso dell’eroina come “terapia di evasione” dalla realtà, cosa che prenderà sempre più piede con l’inizio degli anni Ottanta e il riflusso nel privato di cui rimasero vittime, schiacciate dal peso della sconfitta, parecchi giovani compagni. Si è creata una voragine generazionale che ha risucchiato e poi sputato in un fosso coloro i quali si iniettavano in vena l’amarezza, la repressione, il disincanto, il volersi auto annullare dopo l’implosione del noi e la riemersione di io alienati, smarriti, distrutti nella loro umanità da persecuzioni politiche e poliziesche; figli di una Resistenza tradita, di stragi di stato impunite, di compagni e compagne caduti che non hanno mai ricevuto giustizia, di lotte anch’esse tradite. Ad ogni omicidio consumato, ad ogni strage, ad ogni verità negata, è morta la parte migliore del Paese
Il traffico di droga, però, andava a rimpinguare le tasche delle destre e della criminalità organizzata, proprio ciò di cui si stavano occupando i due ragazzi milanesi. Una zona grigia che ritroviamo in molti fatti dell’epoca fino ad arrivare alle clamorose vicende dei giorni nostri, in una commistione costante e continua di poteri più o meno legali, più o meno occulti.
E mi ritrovo col cuore a Milano, camminando idealmente sui loro passi, vedendo attraverso i loro occhi. Quel 18 marzo del 1978 a cadere sotto il fuoco spietato e fascista son state la speranza e la lotta.
Ma la memoria ha in sé un dono salvifico se ancora a distanza di quarant’anni c’è chi non dimentica, chi alimenta e fa vivere Fausto e Iaio nel riflesso mai ingiallito della quotidianità. Forse c’è ancora un barlume mai assopito di coraggiosa speranza nel non voler far sì che la storia ufficiale ci scippi della bellezza e dell’unicità di vissuti capaci di non spezzare la narrazione, ma di allungarne le radici fino a toccare ognuno di noi.