Valerio Verbano: 38 anni di ingiustizia

Valerio Verbano

Valerio Verbano

di Chantal Castiglione

«Prima di morire vorrei che l’assassino suonasse ancora alla mia porta. Vorrei che, prima ancora di dirmi buongiorno mi dicesse: “Sono io l’uomo che ha ucciso suo figlio”. Lo farei accomodare, l’assassino, gli preparerei un caffè purché mi spiegasse perché l’hanno ucciso, purché mi raccontasse tutto chi ha deciso che le fotografie scattate da mio figlio erano troppo pericolose, che tutto il lavoro fatto da Valerio sull’eversione nera doveva essere fermato, portato via, distrutto». (C. Verbano e A. Capponi, Sia folgorante la fine)

C’era una mamma a Roma che fino all’ultimo dei suoi giorni ha aspettato invano che l’assassino di suo figlio bussasse di nuovo alla sua porta, ha combattuto perché emergesse la verità. Si chiamava Carla Zappelli in Verbano. Quella mamma ora non c’è più, ma ci saremmo dovute incontrare tanti anni fa. Mi ha strappato una promessa però nelle nostre lunghe conversazioni, quella di continuare nella sua lotta, di non dimenticare Valerio, di raccontarlo a chiunque sia disposto ad ascoltare il silenzio della memoria. E poi con Valerio ci accomunava il sogno del giornalismo.

38 anni.

Questo il tempo trascorso da quel 22 febbraio 1980, giorno in cui Valerio Verbano viene ucciso a casa sua con un colpo di pistola sparato mentre era di spalle da tre neofascisti, davanti agli occhi di sua madre Carla e di suo padre Sardo.

Tre giorni dopo sarebbe stato il suo compleanno. E penso ai tanti sogni spezzati da tre vigliacchi, tre fascisti, che continuano a godersi la vita come se nulla fosse mai successo, tranquilli e al sicuro da una giustizia che non c'è mai stata, protetti dalla disumanità dell'insabbiamento da parte di uno stato che ha tutelato spesso i carnefici e mai le vittime e i familiari. 

Ogni anno che passa credo sia sempre più difficile scrivere di Valerio, della speranza e della vita che viene tolta a 18 anni.

Ma chi è Valerio Verbano, perché l’anno ucciso, cosa aveva scoperto?

Valerio è un ragazzo di 18 anni, capelli arruffati, occhi grandi e profondi e una sigaretta al lato della bocca, ascolta De André riportando le parole della canzone “Il Bombarolo” su una pagina di agenda. Vicino all’autonomia operaia; impegnato nella stesura di un dossier sui collegamenti tra alcuni gruppi dell’estrema destra e settori della malavita romana, incluse vicinanze e coperture degli apparati statali.

Verbano aveva capito che il problema non era contenibile nello scontro, bisognava rivelare le trame che quello scontro utilizzava per attutire la carica vincente dei giovani. E allora quella valenza contro informativa era principalmente tesa e aveva un valore politico in sé, cioè era uno strumento di lotta, perché smascherava le situazioni che deviavano, quegli elementi che il potere piazzava alleandosi via via con i fascisti e i gruppi di eversione nera, spalleggiati da ampie fasce dello stato, dei servizi, da una polizia che non era, come per certi versi  ancora oggi, pura e limpida nella sua totalità. La contro informazione era un elemento, quindi, assolutamente politico.

Il materiale racconto da Valerio fatto di appunti, fotografie, numeri di telefono, indirizzi in larghissima parte è scomparso dopo una perquisizione, infatti pochi fogli vennero riconsegnati a Carla pochi anni prima che morisse. Mentre molte prove vennero eliminate, consapevolmente perse, come l’arma del delitto lasciata in casa di Valerio e scomparsa dopo negli archivi di chi aveva il dovere di indagare, il passamontagna di uno degli assassini andato distrutto.

Si muore anche così, si muore perché si sono scoperte troppe cose. Si muore in casa, appena tornato da scuola dopo una lotta furibonda. Si muore di schiena mentre si rincorre la salvezza di un balcone. Si muore sul divano con vicino un gattino di peluche, sussurrando:«Aiuto mamma».

A distanza di più di un trentennio le inchieste portate avanti da Valerio e per cui è stato ammazzato sono divenute cosa nota al grande pubblico. Naturalmente in “Mafia capitale”  nessun accenno a quel ragazzo dai capelli arruffati e gli occhi grandi che annotava nomi, indirizzi, numeri di telefono, che fotografava. Dalle maglie dell'inchiesta, però, spunta un'intercettazione di Carminati nella quale il boss, ex NAR, accenna di un ragazzo che venne ucciso perché sapeva troppo e dalla dovizia di particolari si potrebbe pensare che parlasse di Valerio. Ma il nome del giovane non viene mai fatto.

Valerio suo malgrado è divenuto una parte di Storia, ma non di quella ufficiale in cui si premia il vincitore, in cui non c'è posto per le umanità speciali, le umanità resistenti; bensì della Storia Altra, quella che raccoglie frammenti di vissuti, restituisce dignità, dona esistenza e memoria. Quella fatta da storie e ricerca di spazi liberati, da microcosmi, arcipelaghi, vita vissuta e voglia di dare il proprio contributo, camminando abbracciato alla paura e alla voglia di essere lotta, di essere fuoco, di essere sempre e per sempre Partigiano. 

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