Laboratorio Universitario di Pedagogia dell'Antimafia "Giuseppe Di Vittorio"
di Chantal Castiglione
L’educazione nel nostro Paese è affidata a una consorteria di poteri, che quotidianamente sforna in serie diplomati e laureati a cui la vita regalerà tante porte in faccia. Crea in un certo senso un mercato di nuovi schiavi, pronti a svendersi al miglior offerente pur di ottenere qualcosa. Merce senza valore, come i cumuli di roba ammassati nei grandi magazzini.
Possiamo, poi, osservare il degrado dell’edilizia scolastica, degrado che non solo si ripercuote sulla didattica, ma cosa più grave è segno tangibile della decadenza educativa.
Scuole brutte, che cadono a pezzi. Aule simili a delle prigioni in cui gli alunni (poveri malcapitati) passano gran parte della loro giornata, con la schiena curva e gli zaini pesanti spesse volte senza imparare nulla se non il ripetere a memoria nozioni vetuste ed inutili.
Agli studenti viene così negato il piacere dell’imparare, viene loro inculcata una mentalità che fa della massimizzazione del profitto il fine ultimo del loro percorso di studi.
Essi vengono utilizzati e si auto convincono di essere prodotti del capitalismo e della società dei consumi.
La scuola si è quindi trasformata in un’azienda, in cui il superfluo viene tagliato perché non proficuo e non allineato al sistema. Una sorta di catena di montaggio (ascoltare la lezione, imparare a memoria e ripetere, metodo alquanto fascista di educare) per creare i “nuovi balilla”, senza più la divisa ma con un modo di pensare e agire meccanico e rispondete agli ordini dei vari ducetti attuali.
L’educazione oggi ancor di più ha bisogno di scoprire e riscoprire dei “cattivi maestri”, sicuramente tra i più importanti c’è Lorenzo Milani.
A ragione può essere considerato un rivoluzionario in ambito educativo e non solo affiancando il Vangelo al Dettato Costituzionale. Le sue riflessioni non subiscono il logoramento del passare del tempo, restano attuali, pietre miliari per un modello educativo includente, dalla parte degli ultimi.
Sotto il motto “I care” (mi sta a cuore, me ne importa) ha sparso i semi di una nuova resistenza e una nuova lotta contro il potere che aveva assunto la forma dell’abbandono scolastico, dell’analfabetismo forzato, dell’essere di meno.
Viviamo in una società fatta di obbedienza. Obbediamo senza domandarci a qualsiasi stimolo che ci viene dall’esterno. Obbedendo diamo tutto per scontato. Non guardiamo più ciò che ci circonda attraverso gli occhi della curiosità, della ricerca e della scoperta; ma ci accontentiamo della visione, seppur distorta, che ci viene presentata da chi assume il ruolo di potere di educante della nostra esistenza. È una società dell’obbligo che annichilisce e svuota l’essere da quella umanità che dovrebbe divenire il motore di ogni agire. Il paradigma dell’obbedienza considerata da tanti una virtù, con Don Milani viene ad essere controvertito.
La scuola fino ad allora era stata, e per certi versi continua ad essere, un ospedale che cura i sani e respinge i malati divenendo uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile. Scuola come una prigione sociale in cui vince l’interesse personale. In maniera provocatoria, la scuola è simile a un campo di concentramento in cui i docenti scelgono chi salvare, ovvero i ragazzi che secondo convenzioni economiche e sociali possono continuare; mentre gli altri, non considerati idonei ai meccanismi del potere, son destinati alle camere a gas dell’emarginazione e dell’abbandono scolastico perché figli di un qualche dio minore o semplicemente della miseria.
Don Milani a Barbiana compie una scelta radicale, quella di un’educazione che non obbliga ma che arricchisce, dando concretamente una possibilità di riscatto culturale e sociale a ragazzi che potevano aspirare all’essere respinti nei campi e nelle fabbriche ed essere dimenticati.
L’educazione, secondo la visione della scuola di Barbiana, deve invece assumere i crismi dell’uguaglianza, quella formale e sostanziale sancita dell’articolo 3 della nostra Costituzione.
L’impegno di Lorenzo Milani, fatto di disobbedienza civile e pedagogica, si intreccia con la disobbedienza politica. Le armi di ribellione più potenti a livello politico le ravvisa nello sciopero e nel voto.
L’attualità nell’opera di Don Milani la possiamo scorgere anche nel citare questo passo estrapolato da: “L’obbedienza non è più una virtù”.
«Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri».
Ritroviamo in questo caso la terminologia freiriana dell’oppresso e dell’oppressore in una prospettiva di apertura allo straniero, a chi viene percepito per cultura, lingua, colore della pelle diverso. Don Milani traccia le linee di una Patria senza confini, accogliente. Lo straniero che troppe volte negli ultimi tempi ci viene descritto dai media come il male assoluto, trova nelle parole di Lorenzo Milani un’ancora di salvezza, uno sguardo non di compassione ma di infinita bellezza.
Le etichette non dovrebbero appropriarsi dell’educazione in quanto espressione del potere dominante. Andrebbero combattute con l’esperienza di ciascuno, con l’apertura al mondo e alle esistenze altre che costellano il nostro quotidiano. L’insegnamento di Don Milani sta sia nell’I care ma soprattutto nel far sentire ogni bambino, ragazzo, adolescente, uomo un essere di più, con aspetti peculiari propri che non pregiudicano il suo andamento scolastico o la sua cultura ma che la rendono unica e irripetibile.