“Rebelde” per sempre


di Chantal Castiglione

“Chi nomina chiama e qualcuno accorre,

senza appuntamento, senza spiegazioni

nel luogo in cui il suo nome, detto o pensato, lo sta chiamando.

Quando ciò accade si ha il diritto di credere

che nessuno se ne va del tutto

finché non muore la parola che,chiamando,

lo fa ritornare”.

E. Galeano

Ognuno di noi nella vita cerca le persone più simili al nostro essere e rare volte le incontra. È una ricerca costante ed incessante. Ci si sente sempre soli. Quasi dei fratelli figli unici. Degli automi che il potere imbriglia nella sua rete per trascinarli a fondo; dei feticci in mano al capitalismo esasperato ed esasperante che cerca continuamente di privarci di tutto, compresa la nostra umanità. Ognuno percorre propri sentieri fatti di solitudine ed isolamento. Individui che come tante macchinine cozzano tra di loro ma fuggono l’incontro autentico, intimoriti, bestie in gabbia.

Fortunatamente non tutti sono così. In chi meno te lo aspetti, proprio chi è ad un passo da te, riesce a mostrarti una strada alternativa e ti chiede di percorrerla insieme. Sai in due è tutto più facile. Non si è più soli. Si incontra un compagno di lotta.

E noi rimaniamo di quelli che si riconoscono a naso, ad odore. Ci siamo annusati e capiti dal primo incontro, forse perché figli della stessa rabbia e ribellione.

Ho incontrato te e abbiamo percorso un tratto di strada insieme, una strada dissestata ma avventurosa, fatta di parole, di sogni e battaglie per il quotidiano.

Basterebbe così poco per sconfiggere il capitalismo: basterebbe semplicemente vivere, ritrovando nelle nostre pratiche nuovi impulsi e nuove strade per la rivolta.

Proprio quello che facevamo noi. Sempre dalla stessa parte della barricata. Vivevamo. Sbeffeggiavamo il potere e i potenti. Sentivamo le ingiustizie contro gli ultimi come nostre. Resistevamo insieme.

Fratellone, continuo a cercarti nell’infinita bellezza degli altri e delle cose. E ti ritrovo sempre, spesso un passo davanti a me, a proteggermi, come scudo;mentre il più delle volte eccoti al mio fianco, inseparabili. Ti ritrovo in mezzo alla gente, negli abbracci e negli occhi di chi mi circonda, nelle mie narrazioni, nei gesti di tutti i giorni e nelle mie lotte. Forse la morte bastarda pensava di cancellare la tua esistenza, beh non ci riuscirà mai perché io continuerò a battere quei sentieri anche per te. R-esisti Andrea. Sei vita e sei lotta. Per sempre “rebelde”. Per sempre antifà.

La “rebeldia” quale metodo di lotta è espressione dei movimenti sociali, in quanto nessun ribelle milita in formazioni che hanno come fine ultimo l’accesso e la conquista del potere istituzionale. È altresì una scelta di vita. Una cesura epocale con quelle che sono le routine e le convenzioni.

I movimenti sono un potente mezzo di mutamento sociale. In sociologia, un’esperienza di movimento sociale è identificabile come tale, laddove il suo porsi rappresenta un momento di contestazione radicale nei confronti dell’assetto istituzione preesistente.

La lotta viene vista come un atto d’amore e la liberazione come un parto doloroso.

Le motivazioni che portano alla ribellione e quindi alla disobbedienza sono tante e possono attenere sia ad una sfera prettamente individuale che ad una collettiva o ad entrambe le cose insieme.

La tristezza e l’impotenza si sono impadronite del quotidiano delle nostre società.

Si decide di disobbedire ad un sistema che non si sente proprio, che opprime fino al più piccolo granello dell’essenza stessa dell’individuo, derubandolo di tutto.

Si decide di disobbedire per smettere di sopravvivere ed affacciarsi alla vita. Scelta di un coraggio estremo.

Si decide di disobbedire per cambiare le cose, mettendoci la faccia, senza nascondersi. Spesse volte divenendo facili bersagli da colpire, da reprimere e da rinchiudere in galera.

La disobbedienza è figlia della coscienza critica, dell’interrogarsi  incessantemente.

Dalla commistione di questi fattori nasce la figura del ribelle, del disobbediente puro, quello che non ha altro fine se non l’affermazione dei diritti di tutti.

È un idealista ma con i piedi ben piantati a terra. Guarda sempre oltre. Pronto a farsi carico delle istanze dei senza voce. Una bandiera che non sbiadisce mai. Sventola, rossa, nel grigio delle città.

È un ultrà mentre recita come un mantra che “U Cusenza è na malatia”. Essere ultras vuol dire creare nuovi vincoli di solidarietà e aggregazione, in grado di unire più persone sotto i colori rosso-blu. Colori densi di umanità.

Il ribelle ha le fattezze di un ragazzo che ha sempre lottato per affermare ciò in cui crede, con la kefiah a coprire le labbra, gli occhi color nocciola, nell’atto di lanciare quasi come una pietra il suo anatema contro chi si sente sempre più padrone delle nostre vite.

È lui che trova sempre il lato positivo delle cose, sorriso stampato in faccia, proprio perché come recitava un vecchio slogan: una risata li seppellirà.

Lo trovi in piazza, nelle manifestazioni e nei cortei. Si riconosce subito. Ha il cuore grande e le braccia aperte per accogliere. Cammina con i suoi sogni di anarchia in tasca canticchiando De Andrè: “E adesso aspetterò domani per avere nostalgia, signora libertà signorina f(A)ntasia, così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza, con la tua nuvola di dubbi e di bellezza”.

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