Laboratorio Universitario di Pedagogia dell'Antimafia "Giuseppe Di Vittorio"
di Chantal Castiglione
Scriveva Pier Paolo Pasolini: «Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L'Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell'oblio dell'etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l'Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com'è»
Dobbiamo renderci conto che la storia italiana è una “storia di tensione”: è la storia di gruppi che lottano per il potere utilizzando strumenti che non sono leciti neppure costituzionalmente, ma che, di fatto rappresentano il potere latente.
La tensione come collante della storia del nostro Paese; non episodi slegati tra loro ma connessi da un unico comun denominatore fatto di violenze e lotte intestine per la presa e il mantenimento del potere, a discapito di quelle realtà popolari che chiedevano solo il riconoscimento dei propri diritti.
“Strategia della tensione” in definitiva significa innescare dei momenti di turbamento dell’ordine pubblico e imprimere una svolta reazionaria.
Un’intera nazione, così, perse per sempre la sua innocenza.
All'inizio fu Strage di contadini nel Sud perché lì c'era fame di diritti. Tutto iniziò con Portella della Ginestra il 1° maggio 1947 e fu subito Strage di Stato, la prima. Poi vennero Melissa, Calabricata e nei campi calabresi iniziò a scorrere il sangue dei contadini ammazzati dalle forze dell'ordine poste a difesa del padrone.
Si continuò con le Stragi degli operai davanti le fabbriche del Nord perché anche lì c'era fame di diritti. E fu Modena, Reggio Emilia, Genova.
Il massacro di innocenti però non si fermò. Ci furono nuove Stragi di Stato: Piazza Fontana, Piazza della Loggia, l'Italicus, Stazione di Bologna.
E poi le Stragi degli studenti e dei giovani freddati davanti le università, nelle piazze o in casa propria.
Son morti che ancora urlano. Voci che ancora riecheggiano in quei luoghi, che si uniscono ad altre voci di vittime, anime vaganti ai margini della versione ufficiale. Sangue rosso come le bandiere sventolate, le idee propugnate, il sogno irrealizzato.
La repressione (non solo del governo tramite le forze dell'ordine quanto dei neofascisti autori di stragi e omicidi restati impuniti) si spostava ogni qualvolta qualcuno era affamato di diritti e che invece vennero sfamati col piombo delle pistole, dei lacrimogeni sparati ad altezza uomo, delle bombe. Quei diritti poi sanciti dalla Costituzione ma restati sempre cartastraccia.
Ed oggi 2 agosto 2017 noi continuiamo a non dimenticare.
2 agosto 1980. Ore 10.25. Stazione di Bologna. Sala d'aspetto. Una bomba. 85 vittime innocenti, la più piccola, Angela Fresu, di soli 3 anni.
A distanza di 37 anni non si può cancellare l'orrore per un'altra città violentata, sventrata. Bersagli di una mattanza che troppo sangue aveva già sparso. Colpevoli (se questa può essere considerata una colpa grave) di aspettare un treno in una calda giornata di agosto.
Chissà dove erano diretti? Forse in vacanza? Ogni persona col suo carico d'esperienza, o appena affacciate alla vita. Storie individuali tristemente riunite in un'unica tragedia collettiva.
La disumanizzazione perpetrata da stragi fasciste ha raggiunto il suo culmine a Bologna. La banalità di un male mai celato da parte di apparati statali, i quali hanno mantenuto e continuano a mantenere l'egemonia sull'Italia, ha mostrato, dispiegandola, tutta la sua potenza stragista. Hanno goduto nell'udire il botto, nel veder salire quel fumo nero, nel respirare quell'odore forte di carne bruciata, persistente, che al solo chiudere gli occhi, si riesce ancora a sentire salir su per le narici, un odore che non abbandonerà mai chi si trovava nella zona.
La storia italiana è, senza ombra di dubbio, la storia di uno stupro senza fine. Un paese che dimentica o che peggio ancora ricorda a comando solo nelle ricorrenze. Un paese fatto di morti mai riconosciuti come vittime, cancellati, divenuti fantasmi della memoria collettiva di un intero Paese.
E poi c'è quella parte, la mia parte, che proprio non riesce a dimenticare, che ha fatto della memoria impegno e lotta quotidiana: penso ai familiari delle vittime, alle associazioni nate per non far si che il tempo e l'oblio abbiano la meglio, che s'impegnano a restituirci una visione individuale e privata di un dolore che non cessa col passare degli anni, ma è quotidianamente presente come un pungolo che sprona ad agire, a raccontare, un dolore dal quale nasce nuova forza e nuova Resistenza.
La memoria è quella che ha sempre spaventato il potere. Un paese che ricorda non dimenticherà mai chi gli ha fatto del male, lo perseguiterà in ogni passo che farà, diventerà la sua ombra, lo inseguirà, gli sbatterà in faccia e gli vomiterà tutto l'odio possibile, gli punterà sempre il dito contro a monito perenne dei crimini contro l'umanità di cui si è macchiato. Il potere invece gode a vedere tanta indifferenza, il voltarsi dall'altra parte dei molti, l'assuefazione costante allo status quo, la vittoria del conformismo e dell'omologazione dei pensieri.
Bisogna immergersi in quelle situazioni, riportarle alla memoria e alla coscienza collettiva, indagare ancora, parlarne e raccontarne. Divenire il paese della memoria e non della non memoria. Questa rivoluzione sarà attuata solo se tutti ci impegneremo a fare la nostra seppur piccola parte. Io non dimentico, la mia memoria non è cancellata, è viva come vivo è il ricordo delle vittime.